Un racconto di Matilde, 12 anni
La ragazza camminava tra le pozzanghere della palude trasportando un enorme secchio di melma colorata. Ad ogni passo si udivano i movimenti oscillanti dei suoi tanti bracciali gialli e verdi. D’un tratto il suo cammino fu interrotto da una creaturina simile ad una grande lucertola che si infilò sotto la sua lunga gonna e la morse con forza con i dentini aguzzi. Lei la cacciò, un poco infastidita, e poi si diresse verso casa, il grande albero cavo; quando vi arrivò fece un sospiro di fronte a quella grande figura che si ergeva maestosa.
All’ingresso della pianta incantata venne accolta da una vecchia che le gridò in tono di rimprovero: “Ma quanto ci hai messo?! Sei un’elfa sciocchina, Alias!”. L’anziana donna aveva un aspetto materno, e delle profonde rughe; era grassottella, decisa e quasi sempre vestita di celeste o giallo. Alias tentò di giustificarsi dicendo che una salamandra l’aveva morsa, ma la vecchina le rispose con un sommesso borbottio. In quel momento la ragazza notò un’ombra che s’intrufolava nell’albero e urlò; la salamandra dentata l’aveva seguita e stava salendo sulla spalla dell’anziana che sembrò non badarci, anzi accarezzò la creaturina. Presto la giovane scoprì che il mostriciattolo aveva anche un nome, Lumosa. La signora fece sedere Alias su uno sgabello e cominciò a sistemarle i capelli neri intrecciandoli a bellissimi fiori blu. Dopo un po’ si alzarono entrambe e iniziarono a prendere strani alambicchi per divertirsi; il legame tra loro era forte: erano grandi amiche.
Mentre preparavano pozioni ricevettero una chiamata inaspettata, da una boccetta uscì una grande bolla e al suo interno apparve una ragazza alquanto pallida e sudata. Sembrava stupita del fatto che le due amiche fossero così tranquille, si asciugò la fronte con la mano e cominciò a spiegare i motivi della sua agitazione. Eufa, così si chiamava la giovane, avvertì la vecchia di una serie di pericoli imminenti. La guerra che in quel periodo aveva devastato il regno dei troll stava per raggiungere la palude; l’assedio era guidato dal Capo dei Cavalieri Senza Nome, creature avide di potere, incapaci di provare amore o compassione, che utilizzavano la magia nera per confondere gli avversari. L’anziana parve confusa e spaventata, ringraziò la fanciulla e scoppiò la bolla per terminare la chiamata. Anche se avrebbe avuto bisogno di aiuto nei preparativi, preferì mandare Alias a letto per non farla preoccupare.
La mattina dopo la cavalleria era già arrivata, un folto gruppo di elfi esperti, tutti provvisti di un gran numero di bracciali e armati di coraggio; Alias era l’unica a non possedere quest’ultima grande dote in quel momento: temeva per la sua vita e per quella della palude e dei suoi abitanti. Quel mattino, la vecchina le si avvicinò e le diede un sacchettino color smeraldo, dicendole di usarlo solo in caso di bisogno.
Dopo qualche ora il campo di battaglia era pronto, e man mano che il tempo passava arrivavano sempre più Cavalieri Senza Nome, fino a raggiungere un numero inaspettato.
La lotta iniziò, si udirono grida e urla, tra gli incantesimi degli elfi e la potente magia nera dei Cavalieri.
Qualcuno lanciò una maledizione, si udì un boato e Alias venne scaraventata indietro con violenza; la ragazza si rialzò e dopo qualche attimo si ritrovò a combattere contro Laug, un essere il cui nome, datogli dal popolo elfico, significa “il mutaforme”. Prima Alias si trovò davanti un grosso corvo nero come la pece, poi un Ciclope con quattro braccia, infine dovette lottare contro una minuscola figurina verdognola. Quest'ultima era particolarmente infida perché correva da tutte le parti e lanciarle un incantesimo era praticamente impossibile. Quando si liberò di Laug, era sfinita, aveva la faccia nera di polvere e ansimava per lo sforzo; sarebbe caduta a terra per la stanchezza se non avesse visto la sua vecchia amica combattere con il più spietato dei Cavalieri Senza Nome, il Capo.
Il tempo si era come fermato, Alias se ne stava lì impalata a osservare la scena, mentre gli altri guerrieri si lanciavano incantesimi a ripetizione. I duellanti all’inizio si limitarono a bloccarsi a vicenda, ma poi la lotta si fece più cruenta; la vecchia stava per uccidere il Capo, ma quel colpo fatale si ritorse contro di lei. La signora si contorse per il dolore, prima di chiudere definitivamente gli occhi. Il cielo venne coperto da un velo nero, tutti smisero di combattere, cominciò a piovere forte.
Alias gridò, e mentre le lacrime le rigavano il volto coperto di polvere si inginocchiò a pugni a stretti. Gli elfi crearono una barriera attorno al loro esercito; qualcuno, invano, tentò di risvegliare il corpo dell’anziana donna. Si era creato un certo scompiglio, c’era chi discuteva rumorosamente sull’accaduto mentre si udiva il pianto di Alias, sola, affranta. Ad un tratto la giovane percepì che qualcuno le toccava la spalla, si voltò asciugandosi le lacrime e vide Eufa che le sorrideva. Questa tentò di consolarla, dicendole che piangere non serviva, dovevano andare avanti, anche per la loro vecchia amica. Le due ragazze si abbracciarono, erano stanche, ma riuscirono ad alzarsi.
All’improvviso Alias si ricordò del sacchettino che la vecchia le aveva dato prima della battaglia e lo aprì, dentro vi era un bigliettino che diceva: “Se sta succedendo qualcosa di brutto, usa ciò che ho preparato per te. Ti voglio bene, Leusidra.” La giovane prese la sua nuova arma, delle grosse pedine colorate, che lei non sapeva ancora come usare; se le rigirò tra le mani pensosa. Quando cadde l’ultimo fiore blu che la sua anziana amica le aveva infilato tra i capelli corvini, Alias ritrovò il coraggio. Ruppe la barriera che gli elfi avevano creato e si mise davanti ai Cavalieri. Venne fermata dal Capo, che la guardò con disprezzo, ma decise comunque di riprendere a combattere, dopo aver elaborato un piano degno di una grande guerriera. Durante la lotta scagliò in aria una pedina, il risultato fu immediato, una colonna di fumo verde provocata da una piccola esplosione. Questo bastò a disorientare la maggior parte dei Senza Nome, qualcuno addirittura scappò.
Alias provò a crearne un’altra proprio davanti al Capo, lui sembrò storcere il naso per il disgusto, come se avesse avvertito un cattivo odore. In quel momento la giovane capì che quelle pillole provocavano un puzzo insopportabile per le creature nemiche, che gli elfi non potevano percepire. Provò a lanciare altre pasticche, ma erano sufficienti solo a disperdere qualche nemico. Poi ebbe un’idea. Prese tutte le pedine e recitò la formula per la fusione degli oggetti. Ottenne un'enorme pastiglia scura, che quando venne lanciata in aria provocò un’esplosione e una densa nuvola di fumo rossa che formò una nebbiolina su tutta la palude. Per i Cavalieri fu come una sostanza tossica, e fuggirono tutti tranne il loro perfido Capo, che rimase lì con lo sguardo folle e inebriato.
I suoi piccoli occhi maligni scrutavano l’esercito elfico, che ormai era allo stremo delle forze. La ragazza si fece coraggio, il suo cervello ragionava come una furia; pensava al fatto che se avesse usato la magia contro quel matto avrebbe creato solo caos e perciò fece una cosa molto stupida e avventata. Prese dei sassi da terra e li scagliò con forza contro la testa del Capo; improvvisamente, quest’ultimo vacillò per qualche attimo, prima di cadere svenuto, inoffensivo. Approfittando di quel momento favorevole, con uno schiocco di dita Eufa lo rispedì nel suo paese di origine, “La Terra Putrefatta”, e finalmente si udirono grida di sollievo e di gioia. La lotta era finita: la palude era salva. Alias riportò il corpo di Leusidra all’albero, dove fu accolta da Lumosa, e dopo la guerra, assieme alla salamandra si dedicò alla magia, anche in memoria della sua amica Leusidra, alla quale l’intera palude doveva la propria salvezza.
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