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  • Immagine del redattoreDafne Girls

Trent'anni fa nel 2020

Aggiornamento: 28 lug 2020

Racconto di una ragazza, 14 anni

"Caro diario, era l’inizio  del 2020… Terza media, esame che si avvicinava, compagni che avrei dovuto salutare e poi la scuola superiore. Ma la fine di quell’anno scolastico non fu come quella che avevo immaginato. Se ci ripenso adesso, che sono trascorsi già trent’anni, tutto mi appare così lontano…”

È strano come, nonostante siano passati ormai forse trent’anni, io abbia ancora questa

abitudine che avevo da bambina di tenere un diario. Penso che poter scrivere tutto quello che tengo dentro a qualcuno o qualcosa, mi sia sempre stato molto d’aiuto nei momenti difficili.

Quindi, caro diario, eccomi ancora. Visto che è la prima volta, dopo qualche mese che non

scrivo, ti aggiorno brevemente riguardo alla mia vita: vivo a LA con Steve e i due gemelli, anche se adesso siamo a New York per il weekend, perché i genitori di Steve avevano voglia di vedere i bambini.

Sono in veranda con Will, l’alano nero che abbiamo adottato quando sono nati i gemelli, e sto sorseggiando un frappè alla fragola. Mi sono messa a scriverti perché durante il viaggio verso Manhattan, la nonna Paola mi ha mandato delle foto di qualche anno fa che mi hanno

ricordato dei momenti molto belli, così ho iniziato a fare un salto nei ricordi, andando sempre più indietro.

Ho pensato molto al 2020, l’anno che si prospettava magnifico per tutti a dicembre del 2019, il twenty-twenty, che avrebbe portato cose buone, che avrebbe compensato tutte le cose

andate male nell’anno precedente… le classiche cose che ognuno spera all’arrivo del nuovo

anno ma elevate alla decima potenza in questo caso. Sarebbe stato l’anno in cui tutti

sarebbero diventati persone migliori, l’anno dei diciott’anni per alcuni e l’anno degli esami per altri.

Ecco, io facevo parte di questi altri: era l’anno dei quattordici per me, avrei finito la terza

media e quindi avrei dovuto fare il temutissimo esame finale. Già prima che iniziasse,

fantasticavo su come sarebbe andato quell’anno, le gite, il ballo di fine anno che volevamo

convincere i prof a farci fare, la scelta della scuola superiore e come sarebbero stati i rapporti

con i miei compagni. Essendo io molto ambiziosa, sin da prima di settembre facevo tutti i

calcoli per sapere in che modo sarei potuta uscire con il massimo dei voti ed ero sempre molto ansiosa prima di qualsiasi verifica o interrogazione, perché se avessi preso il voto sbagliato avrei rovinato tutti gli sforzi fatti fino a quel momento.

Insomma, nonostante tutti i desideri e le aspettative, questo 2020 andò come nessuno si

sarebbe mai aspettato. La stragrande maggioranza dell’anno fu una vera catastrofe: alcuni

dicevano che nemmeno Dante avrebbe potuto scrivere un inferno del genere, e fidati, non

scherzavano.

Dopo gli Stati Uniti e l’Iran che rischiavano di scatenare la terza guerra mondiale e l’Australia

incendiata, è arrivata anche la pandemia mondiale, che non poteva non dare il suo contributo a questo meraviglioso anno, giusto?

Fatto sta che, già alla fine dell’anno precedente, in Cina è stato scoperto un nuovo virus (il

corona virus) che contagiava soprattutto la fascia d’età più anziana, e si manifestava con

sintomi molto simili a quelli dell’influenza. E, allora, tutti avevamo sottovalutato quello che poi sarebbe diventato il terribile covid19, uno delle icone con quale venne ricordato il 2020.


Pian piano, il Coronavirus si avvicinava sempre più all’Europa, all’Italia e alla Lombardia, dove

vivevo io. Ricordo lo scandalo e la preoccupazione quando venne individuato il primo caso in Lombardia, ma quello era solo il primo di una serie immensa, che sembrava non sarebbe finita mai.

L’ultimo giorno della mia terza media, era un sabato qualunque, la voglia di stare a scuola non era molta come sempre, rimpiango ancora tutte le cose che non ho fatto durante quei mesi di scuola, perché non ho mai più avuto la possibilità di rifarle. Il weekend di quell’ultimo sabato, era stato dato l’annuncio ufficiale del governo che le scuole sarebbero chiuse per una settimana a causa del virus che continuava a diffondersi.

Ovviamente noi studenti non ci siamo messi a piangere, anzi, eravamo forse i più felici al

mondo in quel momento. Cosa potevamo chiedere di meglio? Non dovevamo andare a scuola e potevamo comunque uscire e vederci tra di noi. Questa prima settimana di permanenza a casa raddoppiò, e le settimane diventarono due.

Ricordo benissimo quelle settimane, erano state favolose per me, mi svegliavo ogni giorno

all’orario che volevo io ed ero in casa da sola perché Tommy e Fede andavano dalla nonna

Carla e i miei andavano al lavoro. Facevo un po’ di compiti che i nostri prof non si dimenticavano mai di darci, e poi a mezzogiorno iniziavo la mia camminata per le stradine

della mitica Robbiano verso casa di mia nonna, dove raggiungevo i miei fratelli e i nonni per

pranzo, per poi tornare a casa a piedi. Di pomeriggio finivo i compiti che avevo iniziato e poi

ogni sera Netflix, per concludere in bellezza la giornata.

Ogni giorno vedevo qualcuno, io e Miriam che eravamo migliori amiche già allora, avevamo

convinto i nostri genitori a farla venire in trasferta da me per quattro giorni; la mia routine già

perfetta era diventata ancora più perfetta perché ero sempre insieme a Miriam.

Ricordo di un ragazzo che mi piaceva tanto alle medie, con cui c’erano state delle

complicazioni per cui ero stata molto male, ma una settimana prima dell’esonero da scuola, ci eravamo fidanzati e io ero felicissima. Ci eravamo anche visti nelle due settimane a casa ed ero stata molto bene.

Proprio appena iniziavo ad essere più felice, ci fu un evento che fece crollare tutto. Dopo

quelle due settimane dove si pensava che nel giro di un mese si sarebbe risolto tutto, iniziò la vera e propria quarantena.

L’ultima persona che avevo visto prima che le vite di tutti cambiassero, era la mia amica Bea

Iosso, il venerdì della seconda settimana di chiusura delle scuole. Visto che era stato

confermato di dover stare a casa ancora, avevo già programmato la settimana successiva e

tutte le uscite con le mie amiche.

Sfortuna vuole che nemmeno una delle cose che avevo programmato si sarebbe potuta fare.

Con l’inizio della quarantena tutto cambiò, ma letteralmente tutto: la routine quotidiana di

ciascuno di noi, la scuola per noi ragazzi, il lavoro per i nostri genitori, la situazione economica e sanitaria del paese e tutte le cose che una persona faceva prima normalmente cambiarono.

Diventò tutto a misura di covid e si poteva uscire solo per i beni di prima necessità, quindi fare la spesa o andare in farmacia. Dovevi avere la mascherina e l’autocertificazione firmata per spiegare il motivo per cui eri uscito, visto che c’erano i carabinieri che fermavano chi era in giro per controllare ed eventualmente dare una multa piuttosto alta a chi era fuori casa senza rispettare la legge.

Per me era stato terribile e straziante stare a casa, per un tempo che continuava a prolungarsi fino ad arrivare a circa tre mesi di reclusione. Passare ogni giorno in casa con i miei genitori e i miei fratelli non era facile, affatto: i miei genitori erano a casa in smart-working fortunatamente, e quindi continuavano a essere pagati anche lavorando da casa, i miei fratelli dovevano fare i compiti e non avevano mai voglia di farli quindi rimanevano indietro con la loro “scuola”, e poi litigavano sempre, in ogni momento della giornata, dando fastidio a tutti noi. Io ogni sera ero sull’orlo di un esaurimento nervoso, oltre alla vita famigliare piuttosto complicata, c’era anche tutta la parte scolastica che diventava difficile e quasi impossibile da sostenere per me.

Nel giro di poco tempo si erano attivate delle piattaforme per seguire le lezioni online ed

eravamo sommersi da compiti da fare di qualsiasi materia, la cosa più difficile era essere

disciplinati: non avendo più un orario serrato e preciso durante il quale dedicarsi solo alla

scuola, era tutto diverso ora. Per quanto ci provassi a fare ogni mattina quattro o cinque ore di solo scuola, tra lezioni e compiti, era molto difficile. Prima di tutto non sarebbero mai bastate solo quelle ore per fare tutto, e poi non ne ero nemmeno capace perché era davvero pesante.

Ero riuscita però a trovare un’organizzazione per studiare e fare tutti compiti, e le cose

iniziavano a funzionare di più. Però, nonostante ci fossero stati di pomeriggi in cui mi

ammazzavo sui libri a momenti, non riuscivo a raggiungere i miei obiettivi. E quel punto

scoppiavo. Faticavo molto e mi impegnavo veramente tantissimo per riuscire a raggiungere i

risultati che mi ero imposta, ero sfinita da tutto lo studio e volevo solo che tutto quel periodo finisse; quando però, dopo tutto il mio lavoro e l’impegno che avevo messo, non raggiungevo l’obiettivo, scoppiavo. Andavo in crisi e iniziavo a dubitare di me perché iniziavo a pensare di non essere all’altezza per certe cose, magari. Succedeva spesso, caro diario, molto spesso.

Ogni sera, aspettavamo Conte (il presidente del consiglio a quel tempo) con un nuovo decreto che ci desse più informazioni su come sarebbe andata avanti la situazione. Altrettanta agitazione, veniva portata sempre dalla ministra dell’università e della ricerca, Azzolina. Questa donna mi faceva impazzire: non si capiva mai che decisioni prendesse e continuava a cambiare idea ogni volta che diceva qualcosa. Ero nervosissima per gli esami perché, anche dopo aver avuto la conferma che avremmo finito tutto l’anno scolastico a casa, ancora non si sapeva nulla di come si sarebbero svolti gli esami.

La situazione in cui stavamo vivendo era assurda: sembrava di essere in un film, però

dell’orrore. Tutti i film e le serie tv che sono stati fatti prendendo spunto dalla vita in quel

periodo, non si avvicinano nemmeno lontanamente a quel che vuol dire stare in quarantena.

Oltre a tutte le cose della mia vita che stavano andando male, la scuola era una delle cose più stressanti. Passavo i pomeriggi ad aggiornare la pagina del registro per aspettare che apparisse un voto, o la pagina dei compiti su classroom, in attesa di un feedback dai miei professori.

Cercavo sempre di consegnare tutto con largo anticipo per far capire che c’ero, che mi stavo

impegnando. Però non sempre bastava, serviva mezzo punto in meno per farmi crollare.

Andavo in crisi e mi chiedevo cosa avessi sbagliato, piangevo, pensavo di non potercela fare, volevo mollare tutto.

In questi momenti l’unica cosa che mi ha fatto superare tutte le difficoltà è stata mia mamma. Io e la mamma non avevamo mai avuto un rapporto prima della quarantena, se non quando io ero molto piccola. Sarà che eravamo le uniche due femmine in una casa piena di m.m.b.e.b. (maschi medi, bianchi, etero, basic) e dovevamo pur sopravvivere in qualche modo.

In ogni caso, la quarantena ci ha riavvicinate ed è stata una cosa davvero molto bella. Ogni

volta che avevo una delle mie crisi lei sapeva come calmarmi e rassicurarmi, almeno ci

provava, provava a capirmi. Anche se non era facile, per niente, perché dire “andrà tutto

bene” come usava al tempo, quando in realtà sta andando tutto male non serve a niente.

Bisogna essere realisti, le cose andavano male e continuavano a peggiorare, e l’unica persona che mi sosteneva sempre era lei.

Mi abbracciava forte e mi diceva che lei credeva in me, che ce la potevo fare. Io non credevo a quelle cose, non credevo in me, ma credevo in lei. Mia mamma è stato il mio punto fermo, la mia ancora, solo grazie a lei, al suo aiuto e al suo sostegno sono riuscita a superare quegli

orribili mesi di terza media.

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